Il bello delle ricette della tradizione è che ogni massaia ripone nei propri cassetti la ricetta di famiglia, quella tramandata dalla nonna della nonna.
Se chiedi a dieci signore dello stesso paese, riceverai ben dieci ricette e dieci lavorazioni diverse, nonostante il luogo di residenza sia il medesimo.
Ascoltarle resta sempre una grande emozione, i racconti sono spesso molto dettagliati e molte volte prima di venire a conoscenza della ricetta stessa, che resta per loro un dettaglio, devi metterti comoda ed ascoltare tutto ciò che il loro cuore esterna, un dolce aggroviglio di storie di giovinezza, di matrimonio e di figli, quasi a leggere il libro della loro vita.
Nella ricetta tratta dal libro “La cucina Padovana” di Beppe Maffioli la ricetta non prevede l’uso di nessun agente lievitante e tra gli ingredienti spicca la presenza dello strutto.
Ho letto molte volte quella ricetta e ho cercato di comprendere i motivi di tali ingredienti immedesimandomi nella vita contadina di quegli anni.
La farina era un bene prezioso.
La zia racconta ancora oggi che quando era piccola andava al mulino del paese, il Molino Quaglia, con una carriola piena di grano. Il mugnaio lo macinava e tornava a casa felice e contenta con la sua bella carriola piena di farina.
Veniva riposta poi in uno mobilio fatto appositamente per lo stoccaggio della stessa, dove l’apertura era posta nella parte superiore del mobile e al suo interno c’era un divisorio dove da una parte c’era il grano e dall’altra la farina.
In merito al grasso per la produzione del pane si aveva addirittura la scelta: o quello dell’oca o quello del maiale. A casa nostra si prediligeva quello degli animali da cortile come l’oca, l’anatra o la gallina, che a mio modesto parere regala profumi e dona una diversa croccantezza al pane.
L’uso dell’uovo probabilmente per dare la sembianza della tipica focaccia veneta, lo stesso vale per lo zucchero.
Una nota particolare la dobbiamo al metodo di cottura del pane che non avveniva come ora nei forni. Ai tempi della Seconda Guerra Mondiale nelle case dei contadini il forno era introvabile: si usava il camino. Si puliva con uno scopino la cenere in eccesso, vi si adagiava il pane e si chiudeva con un coperchio di ferro. Sopra il coperchio si mettevano le braci. Si lasciava cuocere per una mezz’oretta e poi veniva consegnato agli uomini di casa poco prima di andare a lavorare nelle campagne.
L’insieme di tutti gli ingredienti doveva saziare, perché altro non c’era.
Ingredienti:
500 g di farina tipo 0;
100 g di grasso d’oca (oppure strutto di maiale);
3 uova;
50 g di zucchero semolato;
sale.
Procedimento:
In un pentolino fate sciogliere il grasso di oca.
Sbattete le uova e tenetele da parte.
Accendete il forno a 200°.
Mettete la farina nella spianatoia, aggiungete le uova sbattute un po’ alla volta. Iniziate ad impastare inserendo il grasso d’oca precedentemente sciolto. Inserite ora lo zucchero. Ultimo il sale.
Domate l’impasto fino a quando sarà diventato liscio.
Copritelo e lasciatelo riposare una decina di minuti.
Stendetelo con il mattarello, incidetelo con la punta di un coltello facendo i classici tagli a rombi.
Cuocete in forno già caldo fino a doratura.
Togliete dal forno e pennellate la superficie con dell’acqua.
Ottimo servito con i salumi come la sopressa vicentina e sottaceti fatti in casa.